Dopo 24 anni di assenza, “I Vespri siciliani” di Verdi tornano al Teatro alla Scala, dal 28 gennaio al 21 febbraio, in un nuovo allestimento firmato da Hugo de Ana. Sul podio Fabio Luisi alla guida di un cast capitanato da Marina Rebeka, Piero Pretti e Luca Micheletti.
Il Barocco in via di estinzione (ma da record) degli inossidabili Musici
P
adre Bach che sei nei cieli, chi sono i peccatori e i beatificati della musica barocca che entrano nel tuo regno? I filologi, o coloro che si affidano a strumenti moderni per interpretare il passato remoto della composizione? E oggi che cosa ci risulta più familiare, qual è la vera evoluzione, l’adeguamento alle vere aspettative del pubblico? Qual è la giusta grammatica?
Oggi il barocco è di moda, qualcuno parla di ba-rock, molti specialisti sono italiani ma in Italia non c’è richiesta e suonano all’estero. I campioni sul podio sono Antonini, Dantone, Alessandrini, Biondi, Florio, Christie, Jacobs, Herreweghe, Kuijken, Rousset, Minkowski, Koopman…
Gli inossidabili dall’approccio “romantico” che suonano con strumenti moderni appaiono come una razza in via in estinzione: sono I Musici. La musica barocca in Italia, prima di loro, in età moderna, dopo i fasti delle corti seicentesche di fatto non esisteva, era un mondo da scoprire.
Arturo Toscanini ascoltò I Musici su suggerimento della sua amica compositrice Barbara Giuranna (madre del violista Bruno, che ebbe modo di suonare con I Musici). Uscì dagli studi radiofonici di via Asiago della Rai e, interpellato dal Corriere della Sera, disse: «Ho ascoltato dodici ragazzi bravi, bravissimi, una perfetta orchestra di musica da camera. Sono dodici ragazzi di 18 anni che suonano senza direttore. Gliel’ho detto, ai ragazzi, li ho applauditi e ringraziati. No, la musica non muore».
L’Orchestra era I Musici di Roma, formata nel 1952 da studenti dell’Accademia di Santa Cecilia, guidati dal docente Rèmy Principe. «Mettere la parola Roma fu un’idea di un manager musicale tedesco per rafforzare l’italianità del progetto. Presto diventammo I Musici», racconta Francesco Buccarella, cembalista e pianista dal 2004, decano e memoria storica dell’ensemble, che è casa sua: «I miei genitori ne hanno fatto parte per 50 anni».
Per i loro primi 70 anni festeggiati nel 2022 appena concluso, la casa discografica Decca ha pubblicato un box con ben 83 cd, registrazioni analogiche dal 1955 al ’79. Sono gli anni d’oro, quelli con guest star Severino Gazzelloni, Salvatore Accardo, Felix Ayo (questi però era primo violino).
Oggi altri celebri solisti suonano con loro, Albrecht Mayer primo oboe dei Berliner, l’oboista Heinz Holliger, il cornista Hermann Baumann. Le Quattro Stagioni di Vivaldi, brano simbolo del barocco, l’hanno inciso 9 volte, per un totale di 250 milioni di cd venduti. «Prima, esisteva una sola incisione, degli anni ’30. Vivaldi può essere percepito a diversi livelli, come segreteria del cellulare, tormentone ante litteram, ma anche, se restiamo alle Quattro stagioni, come metafora di vita». Musica a programma, così si definisce. «Volevo raccontare storie, la più grande delle storie, la trasformazione perpetua delle stagioni, il cambiamento che si ripete e che non ha fine, uguale e pure sempre differente», annotò Vivaldi.
Per I Musici, Nino Rota ha scritto il Concerto per archi, «intriso di un’ironia triste che ricorda la sua colonna sonora per La strada di Fellini»; Ennio Morricone arrangiò per loro alcuni suoi celebri temi per il cinema, da Mission a C’era una volta in America.
Nell’hit parade della loro storia musicale, dopo Vivaldi, Buccarella a sorpresa mette una Sonata che Rossini compose a 12 anni, «brano di una freschezza e immediatezza impressionanti», e l’Ottetto di Mendelssohn, di «ispirazione bachiana». Nel box c’è il celebre cosiddetto Adagio di Albinoni, «esempio di frode musicale perché si è appurato che lo compose negli anni ’50 il musicologo Remo Giazotto da uno spunto di Albinoni. Un po’ come l’Ave Maria erroneamente attribuito a Caccini, che nel ’500 fu uno dei padri fondatori del melodramma, in realtà scritto nel 1970 dal chitarrista russo Vladimir Vavilov».
I Musici sono 6 violini, 2 viole, 2 violoncelli, 1 contrabbasso, 1 cembalo. Suonano strumenti “normali”, non d’epoca: alla “moda” filologica sono estranei. «Ci siano evoluti anche noi, mantenendo però un suono caldo, compatto, espressivo, comunicativo. La filologia ha cambiato direzione al barocco, si è aggiunta più conoscenza e un repertorio misconosciuto, ma alcuni gruppi hanno puntato allo stupore, ai tempi esasperati, veloci, a quello che oggi si possono definire effetti acchiappa like».
Otto anni dopo, nel 1959, nacquero su un sentiero parallelo I Solisti Veneti. Buccarella, cosa risponde a chi lamenta una certa uniformità del barocco musicale? «Succede anche in Beethoven, di più, nel ’600 bisognava comporre in poco tempo e si rimescolava, i musicisti erano artigiani a tutto tondo».
E perché i maggiori ensemble sono italiani ma devono suonare all’estero? «Eh, perché uno dei mali della musica in Italia sono i direttori artistici». Con I Musici in campo, da 70 anni, scendono dodici giocatori, uno più delle squadre di calcio. Ma senza allenatore sul podio.