Dopo 24 anni di assenza, “I Vespri siciliani” di Verdi tornano al Teatro alla Scala, dal 28 gennaio al 21 febbraio, in un nuovo allestimento firmato da Hugo de Ana. Sul podio Fabio Luisi alla guida di un cast capitanato da Marina Rebeka, Piero Pretti e Luca Micheletti.
Gesualdo, il castello del principe musicista 
I
l Castello del centro abitato di Gesualdo si trova a una quarantina di chilometri da Avellino. Le sue origini sembrano risalire all’epoca longobarda. Le prime notizie documentate, però, si attestano al XII secolo: cioè al periodo del dominio normanno. Il primo signore fu Guglielmo d’Altavilla.
Discendente di questa antica casata fu Carlo Gesualdo da Venosa (1566-1613): compositore che ha lasciato un segno indelebile negli spazi dell’edificio, non solo per gli interventi architettonici commissionati, ma anche per le musiche in quel luogo concepite. Note che risuonano come sublimi e assieme tormentate presenze nella mente del visitatore preparato.
Agli inizi degli anni 2000, il complesso è divenuto proprietà pubblica, ed è stato sottoposto a lunghi lavori di recupero. Riaperto nel dicembre 2015, oggi è visitabile e accoglie iniziative ed esposizioni culturali, tra cui una mostra permanente dedicata a cinque preziose copie di altrettanti strumenti musicali appartenuti a Carlo: frutto di una lunga e accurata ricerca fondata su fonti storiche, archivistiche, testimonianze organologiche, museali e iconografiche.
A chi arriva a Gesualdo il Castello appare come una piccola fortezza in cima a un colle, sotto cui si distende con reverenza un abitato costituito da case che sembrano quasi disposte una sull’altra: un piccolo centro urbano in cui si manifestano, qua e là, misteriose e silenziose presenze: i decori e le architetture di un passato glorioso.
La planimetria del maniero è atipica – trapezoidale e a tenaglia assieme – ed esibisce quattro torri cilindriche: quasi altrettante sentinelle di un luogo magico, collocato tra cielo e terra, nel cuore dell’Irpinia. Un edificio che Carlo scelse, tra i tanti possedimenti della sua famiglia, per trascorrere i momenti più significativi della sua vita; e per morire, in dolorosa solitudine.
Dopo l’omicidio della moglie Maria d’Avalois – compiuto a ventiquattro anni a Napoli nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 1590 – il musicista si ritirò nel Castello che, da quel momento, divenne lo stabile punto di riferimento della sua vita, il luogo dove dedicarsi alla musica consolatrice e alla commissione con intento espiatorio dei numerosi interventi architettonici e urbanistici – nella sua dimora e nello stesso centro abitato (chiese, conventi, piazze, fontane) – di cui si è già detto.
Dopo il matrimonio con Leonora d’Este e il soggiorno a Ferrara protrattosi per oltre due anni, nel 1596, Carlo tornò di nuovo a Gesualdo. Sarebbe stato l’inizio dell’ultima parte della sua vita: la più dolorosa.
Sofferente di asma, quanto mai irascibile e violento, tormentato dai sensi di colpa, in rotta con Leonora, il musicista fu avvelenato da una cortigiana sua concubina: un avvenimento che deteriorò in maniera definitiva la sua salute già critica. In questo momento, il compositore iniziò a concepire una specie di testamento artistico.
Nel 1609, fece dipingere da Giovanni Balducci la pala d’altare conservata in Santa Maria della Grazie a Gesualdo: dove è raffigurato in ginocchio vicino a Leonora (foto sopra).
Nel 1611, fece addirittura trasferire nelle sale del suo castello il più famoso stampatore di musica di Napoli, Giovanni Giacomo Carlino. Per lui fece allestire un laboratorio dove gli fece pubblicare nel 1611 – sotto il suo rigoroso controllo – il Quinto e il Sesto Libro di Madrigali, oltre ai Responsoria per la Settimana Santa. Si era ormai vicini alla fine.
Il 20 agosto 1613, per una caduta da cavallo, morì a 26 anni l’amato erede Emanuele. Debole, ammalato, trafitto dal dolore, Carlo si chiuse al mondo, si ritirò in isolamento nel camerino contiguo alla cosiddetta “stanza del zembalo”, dove, con tutta probabilità, si trovava il clavicembalo di dubbia attribuzione a Vito Trasuntino oggi conservato nel Museo degli strumenti musicali del Castello Sforzesco di Milano. Il principe morì diciotto giorni dopo.
I madrigali del Quinto e Sesto Libro sono pagine musicali abitate da idee che sono ossessive presenze. Opere invase da una tematica unica e trina (amore, dolore, morte), condita con lucidità dall’erotismo, dalla masochistica autopunizione, dal dolore esistenziale, da uno spiccato gusto per l’ossimoro, per i contrasti, per gli esasperati cromatismi, per l’audacia delle sequenze armoniche, per la congestione espressiva, per un’aspra discontinuità del discorso musicale, per i silenzi siderali, per un gioco di timbriche sgranate, per la sofferenza violentemente lacerata di un’anima che è campo di battaglia per opposti estremi.
L’ego esplosivo di Gesualdo sembra assumere ancora più considerazione in sé stesso nei Responsoria per la Settimana Santa, un visionario e incorporeo percorso dello spirito che coglie appieno lo spirito degli ultimi anni vissuti da Carlo nel suo Castello, e che spinge a rileggere alla sua luce non solo i dipinti di El Greco ma anche la stessa Pietà Rondanini di Michelangelo.
In queste musiche si assiste, assieme al pentimento, a una cupa immedesimazione con le sofferenze umane e assieme divine del Cristo. Una soggettivazione risolta con soluzioni stilistiche di straordinaria finezza, oltre che con quella claustrofobica arditezza artistica che anticipa in maniera impressionante i diciotto giorni di forzato autoisolamento nel piccolo stanzino/sepolcro con cui Gesualdo decise e clinicamente certificò la propria morte terrena.