Dopo 24 anni di assenza, “I Vespri siciliani” di Verdi tornano al Teatro alla Scala, dal 28 gennaio al 21 febbraio, in un nuovo allestimento firmato da Hugo de Ana. Sul podio Fabio Luisi alla guida di un cast capitanato da Marina Rebeka, Piero Pretti e Luca Micheletti.
Valentina Bonelli
Danza e Storytelling. Il futuro del balletto narrativo
I
l ritorno al Teatro La Fenice di Venezia dell’Hamburg Ballet che nell’ultimo anno di direzione di John Neumeier ne ha presentato il capolavoro, La Dame aux camélias, induce a riflettere sul destino del balletto narrativo.
L’ottuagenario coreografo lascerà alla compagnia che ne porta anche il nome tutti i suoi titoli, la gran parte dei quali di genere “dance drama”, ma prevedere quanto nel tempo continueranno ad essere rappresentati è difficile. Se è vero che il pubblico dei teatri di tradizione ancora preferisce balletti che raccontino storie, i direttori artistici non di frequente ne programmano, più attratti dalla varietà di quei “mixed bills” che un po’ tutti accontentano. O fors’anche per i risultati spesso deludenti di nuove creazioni “a serata intera” che provano ai detrattori quanto sia ormai démodé il balletto narrativo.
Tornare ad ammirare La Dame aux camélias, balletto del 1978, permette di indagarne quei pregi che lo hanno traghettato nel nostro millennio, elevandolo a modello per i giovani coreografi votati al genere. La chiave sembra essere l’utilizzo del tempo: come lo stesso Neumeier ha spiegato «nella danza si può raccontare solo al presente: è molto difficile rendere chiaramente il passato e il futuro».
La comparsa di due personaggi letterari dal destino simile, Manon Lescaut e il cavalier Des Grieux, oltre che un incantevole esempio di balletto nel balletto, è un meraviglioso espediente per conoscere il passato e immaginare il futuro dei protagonisti, Marguerite e Armand. Nonché per rifletterne, come in uno specchio, quell’interiorità che un balletto fatica a incarnare: pensieri, angosce, desideri, sogni e visioni irrompono sulla scena danzati da altri.
Lo stesso procedimento abbiamo visto negli anni applicato da Neumeier ai suoi più riusciti balletti, tratti da pièces teatrali come Un Tram che si chiama desiderio o Lo Zoo di vetro che nelle drammaturgie di Tennesse Williams incontrano la sua vena sentimentale, leggermente melodrammatica. Mentre i balletti Nijinskij o Dusetravalicano del tutto l’andamento da biopic per restituire ritratti artistici complessi e toccanti.
Si tratti di fonti letterarie o biografiche, la levatura intellettuale dell’autore è condizione per allestire balletti narrativi che non raccontino semplicemente una storia dall’incedere lineare col gusto dell’intrattenimento, ma che per la stratificazione culturale di citazioni e rimandi sappiano coinvolgere anche lo spettatore più colto.
Stessa generazione di Neumeier, l’altro gigante del balletto narrativo è il russo Boris Eifman. Per le contingenze storiche sarà difficile tornare ad ammirare i suoi balletti in Occidente, ma chi li conosce sa che alle qualità suddette il settantaseienne coreografo unisce quella speciale attitudine al racconto propria della letteratura russa.
I suoi balletti, eredi del “drambalet” sovietico, attingono ai grandi romanzi con Anna Karenina, I Karamazov, Evgenij Onegin, o evocano le personalità della storia e dell’arte in Giselle rossa, ovvero la ballerina Ol’ga Spesivtseva, Amleto russo, il figlio di Caterina la Grande, o Čajkovskij, il venerato compositore.
Della generazione successiva a Neumeier ed Eifman, Yuri Possokhov conosce le doti di entrambi e ne ha fatto una sintesi originale, non priva del suo tocco d’autore. Non a caso la sua carriera di coreografo si è divisa sinora tra Stati Uniti e Russia: al San Francisco Ballet, dove ha appreso il gusto dello spettacolo, e al Teatro Bol’šoj di Mosca, dove sono nate le sue creazioni più riuscite, ancora ispirate da fonti letterarie e biografiche, come Un eroe del nostro tempo e Nureyev.
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