Dopo 24 anni di assenza, “I Vespri siciliani” di Verdi tornano al Teatro alla Scala, dal 28 gennaio al 21 febbraio, in un nuovo allestimento firmato da Hugo de Ana. Sul podio Fabio Luisi alla guida di un cast capitanato da Marina Rebeka, Piero Pretti e Luca Micheletti.
SPETTACOLI
La completezza rivelatrice delle Sinfonie di Mendelssohn
Torino – Auditorium | Mendelssohn, Sinfonie (integrale) | Daniele Gatti (dir.), Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Coro Teatro Regio di Torino
È
andato in crescendo il ciclo delle cinque Sinfonie di Mendelssohn dirette da Daniele Gatti nell’Auditorium di Torino con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. L’intesa tra direttore e orchestra si è stretta sempre più e, se fin dal primo concerto, con la Sinfonia in do minore seguita dalla «Scozzese» si sono ammirate la qualità del suono e la ricchezza e varietà del fraseggio, sempre espressivo, l’esecuzione della «Riforma» e, soprattutto, quella della «Italiana» ha raggiunto nell’ultima serata un virtuosismo raro.
L’agilità, le sfumature, le polifonie sottotraccia, evidenziate anche in passaggi di solito scoperti, gli sfumati e le dissolvenze, hanno messo la Quarta Sinfonia in una prospettiva molto vera: priva di quello spessore presente talvolta nelle esecuzioni di stampo tedesco, che tendono a leggere ogni partitura post-beethoveniana nell’ottica del padre, l’«Italiana» di Gatti dava in ogni passaggio un’idea di leggerezza, di grazia, di armonia e di felicità: esecuzione che si potrebbe definire botticelliana, immagine di un mondo di intemerata bellezza, restituito attraverso lo sguardo infallibile di un grande artista tedesco.
Al centro del ciclo, nel secondo concerto, torreggiava il grande edificio sonoro del «Lobgesang», il canto di lode composto da Mendelssohn nel 1840 in occasione del quarto centenario dell’invenzione della stampa.
Il pericolo, nell’esecuzione, assai rara, di questa sinfonia formata da tre movimenti strumentali, più un finale in dieci pezzi per soli coro e orchestra su parole della Bibbia, è di monumentalizzarla, oppure di risolverla in un atto devozionale, monolitico e non molto attraente.
Gatti, invece, ha reso avvincenti e poetici gli scarti dello stile, le altimetrie retoriche, la varietà degli stati d’animo. Dal primo movimento, festosamente celebrativo, il passaggio al moto roteante e avvolgente del secondo è scivolato con la massima naturalezza e così la successione all’Adagio religioso, racchiuso dal direttore nella dimensione di un’intima tenerezza.
Magistrale, anche qui, la concertazione: difficile ascoltare un suono così morbido negli archi dell’Orchestra Rai, e rara la bellezza degli impasti sonori , evidentemente concertati con somma cura nel settore dei legni e fissati in un impasto organistico, di estrema morbidezza.
Nella seconda parte, la sorpresa, vale a dire la capacità di Mendelssohn di alternare l’intimità del Lied tedesco con il corale luterano, il declamato pre- wagneriano ( la drammatica domanda, più volte ripetuta del tenore, «Pastore, sta per finire la notte?») con gli scoppi di luce nel grido della massa sinfonica e corale, («La notte è passata… indossiamo le armi della luce»).
Non è eclettismo quello di Mendelssohn, ma profonda abilità nella fusione degli stili: basti sentire come il corale luterano (Non danket alle Gott), di stretto stile bachiano, venga ad un certo punto investito dal flusso dondolante di una meravigliosa figurazione strumentale, sorta di abbandonato beccheggio in cui lo spirito del sogno romantico avvolge e trasfigura il canto del Coro che per l’occasione era quello del Teatro Regio di Torino, ottimamente diretto da Andrea Secchi (foto sopra).
Concludendo: storia ed estetica, tradizione e modernità, arte del contrasto e nello stesso tempo del raccordo e della sfumatura, si sono armonizzati in questi tre concerti, restituendo un’immagine dell’arte di Mendelssohn di una completezza rivelatrice.
Foto © Più | Luce / ©Edoardo Piva Teatro Regio Torino
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