Dopo 24 anni di assenza, “I Vespri siciliani” di Verdi tornano al Teatro alla Scala, dal 28 gennaio al 21 febbraio, in un nuovo allestimento firmato da Hugo de Ana. Sul podio Fabio Luisi alla guida di un cast capitanato da Marina Rebeka, Piero Pretti e Luca Micheletti.
Ammazza la mosca!
Un’indagine sulla storia di un jingle dalla fortuna strepitosa. Danzato a ritmo di polka o suonato sui denti di una mucca, «Ammazza la mosca… col Flit!» affiora un po’ ovunque, DAL JAZZ ALL’HEAVY METAL, da Topolino ai Rolling Stones, replicandosi senza mai perdere quel suo richiamo irresistibile che fa: ta-tara-ta-ta… ta-ta!
L’
11 giugno 1923 viene depositato allo United States Patent & Trademark Office il marchio di un nuovo insetticida. A curarne la campagna pubblicitaria nei primi anni di produzione è Theodore Seuss Geisel (il futuro Dr. Seuss) nelle cui illustrazioni si distingue già la temibile Flit Gun, quella ‘pistola’ al pesticida che vent’anni dopo comparirà – con una formula chimica aggiornata – fra l’arsenale portato in Europa dalle truppe Alleate e che diventerà nel tempo sinonimo di disinfestazione. In Italia, questo rassicurante spruzzino dal «debole odore aromatico» verrà promosso in radio dal jingle: «Ammazza la mosca… col Flit!», reso memorabile da un motivetto di sette note che già da tempo sta conquistando il mondo: ta-tara-ta-ta… ta-ta!
Il caso italiano del Flit è solo uno degli esempi in cui questa piccola melodia venga utilizzata in campo pubblicitario. La troviamo infatti qualche anno dopo anche in Svezia, nello scatenatissimo spot delle pastiglie Bronsol – per accompagnare il jingle «Hälsan för halsen, Bronsol!» («Salute per la gola, Bronsol!») – o nella campagna statunitense «Volkswagen does it, again!» del 1979.
Torna poi ancora in Italia nel 1983, adottata dalla Invernizzi per ricordarci che: «Se c’è la goccia, è Gim!». Sembra insomma essere “nata per i claim” e potrebbe essere così visto che negli Stati Uniti, per citarla, si ricorre all’espressione: «Shave and a haircut… two bits!» («Barba e capelli… venticinque centesimi!»).
Le stesse parole che nell’originale inglese di Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988) risultano irresistibili a qualunque personaggio animato e che, nella traduzione italiana del film, vengono rese citando una versione storpiata del jingle radiofonico dell’insetticida. Del fatto che «non c’è cartone che resista alla voglia di finire Ammazza la vecchia col Flit» ve n’è prova anche prima e dopo l’uscita del film diretto da Robert Zemeckis.
Il motivetto è infatti suonato da Topolino sui denti della sua mucca in Steamboat Willie (1928), ballato in frac da Bugs Bunny in Show Biz Bugs (1957) e conclude persino le avventure animate di Cuphead (2017). Dunque… da dove nasce? Sarà un caso di stretta parentela con la musica classica come per la Nokia Tune, nipotina a 8-bit dal Gran Vals di Francisco Tárrega?
Playlist retrograda
Cercando di spigolare a ritroso questa melodia nella storia della musica recente in cerca delle sue origini la troviamo nei brani e nei generi più disparati. È in grado di chiudere inaspettatamente Everything About You (1992) della band heavy metal Ugly Kid Joe e diventare al contempo protagonista di una canzone dei Gatti di Vicolo Miracoli (Koppa la vecia del 1983).
È pronta a chiosare Unsquare Dance (1961) di Dave Brubeck e sostenere il grido ribelle di Gee Officer Krupke! in West Side Story (1957) di Leonard Berstein. Si presta poi volentieri alle setose orchestrazioni del jazz, in Shave and Haircut (1957) della band di Pete Rugolo, in Love and Marriage (1955) di Frank Sinatra o in My Ding-A-Ling (1952) e Country Boy (1950) di Dave Bartholomew.
La troviamo invece chiamata per nome nella sfrenata polka Shave and Haircut (1949) di Bernie ‘Wyte’ Witkowski e nei numeri musicali Shave and a Haircut, Bay Rum (1939) di Rosalind Rosenthal/Herbert Halpert e Shave and a Haircut – Shampoo (1939) di Dan Shapiro/Lester Lee/Milton Berle. Avvicinandosi ancora al suo punto di origine, la riconosciamo nel finale del numero radiofonico That’s a lot of Bunk (1923) del duo Billy Jones-Ernest Hare e all’inizio della canzone On the 5:15 (1915) di Billy Murray.
Poi, nel 1914, eccola comparire per la prima volta “scritta” su una partitura nella canzone Bum diddle-de-um bum, that’s it! del compositore italo-americano James Vincent Monaco. Potremmo forse vantare la paternità di uno dei motivetti più diffusi al mondo?
Purtroppo no, perché i suoi contorni compaiono su un’altra partitura, quella dello Hot Scotch Rag di Harry Fischler del 1911 e infine fra le righe di At a Darktown Cakewalk, del compositore semi-sconosciuto Chas Hale. Siamo nel 1899 e oltre le pagine di questo grazioso cake-walk pubblicato dalla Belmont Music di Philadelphia si alza una caligine insondabile.
Il Pando
Il viaggio alla ricerca delle origini di Ammazza la mosca col Flit atterra sulle note di questa danza, ma è di certo uno scalo piuttosto che un arrivo. Un repertorio come quello dei ragtime e delle cake-walk, resi famosi da autori come Scott Joplin, si ispira volentieri ai gusti del folklore ed è dunque molto probabile che già prima di At a Darktown Cakewalk il nostro motivetto esistesse già.
Come spesso accade con la musica popolare, cercare le origini di un singolo elemento è come districarsi nel sottosuolo del Pando: possiamo contare il numero di volte in cui si riproduce sempre identico a sé stesso in superficie, ma le sue radici si rivelano un garbuglio incredibilmente complesso.
È possibile però formulare, con cautela, alcune ipotesi. La cellula ritmica di Ammazza la mosca col Flit compare spesso in veste di couplet di apertura, chiusura o commento di un brano. Può inoltre fungere al contempo da scherzoso ammiccamento e da “frase fatta” dell’improvvisazione, diventando una cosiddetta lick.
Questa natura potrebbe ricondurne la nascita al contesto della bluegrass music, una branca della musica country che possiamo immaginare suonata nella veranda di qualche sperduta tenuta texana. È poi possibile che, visto il nebuloso testo originale inglese con cui viene identificata («Shave and Haircut, two bits!»), si sia in un secondo momento diffusa nel repertorio in completo a righe della barbershop music, al tempo in cui il barbiere era un luogo centrale della socialità. C’è infine chi ipotizza che sia nato in seno al Codice Morse e chi prontamente smentisce questa eventualità.
Non finisce però qui il numero di complicazioni. La pulsazione fondamentale di Ammazza la mosca, il suo senso di attesa e risoluzione infinitamente replicabile, può anche essere interpretata come una sorta di clave, ovvero di cellula ritmica che, ripetuta, diventa il fondamento per un intero brano (come accade, ad esempio, nelle danze di origine caraibica come la salsa o la rumba).
A deporre a favore di questa ipotesi è la stretta parentela fra Ammazza la mosca e il cosiddetto Bo Diddley beat, figura ritmica che prende il nome dal cantante R&B Bo Diddley adottando la quale sono stati scritti un numero incredibile di brani che vanno da Please Go Home (1967) dei Rolling Stones fino a If It’s Lovin’ that You Want (2005) di Rihanna.
Bisognerebbe allora indagare su Ammazza la mosca in qualità di clave – cercandone le origini nella tradizione ritmica africana, come quella Yoruba – e provando a capire come sia approdata nella cultura statunitense.
Un’idea
Insomma, dietro questa innocente melodia si nasconde un universo musicale dai contorni appena definibili, in cui la lista degli “avvistamenti” è destinata ad aggiornarsi migliaia di volte, per ogni sua sortita nella bussata in codice che facciamo per entrare in casa o nel beat prodotto in uno studio discografico. Come certi “giri di accordi” o piccole frasi, Ammazza la mosca è infatti in grado di intrufolarsi nei generi e nei luoghi più disparati, replicandosi e rinnovandosi senza mai perdere quel suo richiamo irresistibile non solo ai Looney Tunes o a Sheldon Cooper, ma a tutti noi. Le royalties per il suo utilizzo sono tutt’ora indirizzate a un autore ignoto dietro cui forse si nasconde l’anonimo, straordinario e instancabile sedimento delle buone idee.